Rapporto generazionale
In vista delle prossime elezioni europee, che si svolgeranno in un continente quasi circondato da sanguinosi conflitti in Ucraina, Palestina, Africa,
Grazia Baroni
ci offre una riflessione su pace, Europa, democrazia, diritti
Penso che tutti coloro che hanno educato figli e ragazzi possano riconoscere negli scambi di reciproche minacce dei cosiddetti “grandi della terra” il comportamento infantile di bambini che litigano per un torto subito o per il possesso di un giocattolo o qualsiasi altro oggetto diventi pretesto per mostrare chi la vince. Però, oggi, ci si trova di fronte a violenze gratuite e inaudite contro civili inermi, donne stuprate, neonati, bambini sgozzati, i con migliaia di morti che lasciano ammutoliti per la loro disumana assurdità.
Si direbbe che siamo arrivati a una specie di competizione tra potenti a chi è più stupido: tra chi è più veloce a distruggere le persone e il pianeta attraverso il consumo spropositato delle risorse e chi tenta di distruggerlo più in fretta usando le bombe.
Con questo proliferare di guerre – Ucraina, Yemen, Sud Sudan, Gaza, Nagorno Karabakh – emerge con chiarezza quanto fosse lungimirante il progetto dei fondatori della Comunità Europea – Schuman, De Gasperi e Adenauer – che avevano ben compreso, nel constatare i disastri della Seconda guerra mondiale – che sono i confini e le ingiustizie che creano le guerre e che se si voleva evolvere come civiltà bisognava superare la logica del conflitto creando uno spazio senza confini e più equo per tutti gli esseri coinvolti.
Per questo si era arrivati a pensare ad una Comunità Europea, indicando già nella scelta del termine “Comunità” la qualità del progetto che si voleva costruire. Già i fondatori erano consapevoli che questa realtà avrebbe richiesto molto tempo e “piccoli passi di solidarietà” come diceva Schuman e la sua condivisa chiarezza di pensiero era determinata dal baratro mortale nel quale si era appena rischiato di precipitare. Passato il pericolo imminente, dopo dieci anni, questa chiarezza di pensiero è stata sostituita da una visione più limitata perché avevano preso forza e spazio le visioni tradizionali, egoistiche e avare, che vedono l’altro se non come nemico sicuramente come avversario. Si inizia così a costruire il progetto della Comunità Economica Europea, che riduce il progetto comunitario a una messa in comune di alcuni prodotti, senza considerare il fatto che questo ridimensionamento sottintende un concetto di umanità molto meschino e sostituisce il valore della persona con il mercato come valore. Quindi, per l’essere umano tutto ha un prezzo? Comprese la dignità e la libertà di ciascun individuo?
La Storia ci rivela che ogni nuova generazione, nella fretta di emanciparsi realizzando i propri progetti, non riconosca la complessità da cui la propria realtà emerge e che di conseguenza non si considera come valore conquistato dai padri la realtà in cui si nasce e, opera. Perché oggi noi europei, eredi del progetto e anche beneficiari di oltre settant’anni di pace, per quale motivo non ci interroghiamo sulla qualità del progetto originario? Continuiamo a mantenere questa visione ridimensionata di una prossimità tollerata tra Stati e non ci diamo il coraggio di credere in una evoluzione della civiltà umana che sia capace di riconoscere nelle persone l’unica via accessibile per la costruzione di un futuro in cui la dignità e la libertà di ciascuno siano la condizione di tutti. Una Storia dove la democrazia possa finalmente compiersi.
Il recente anniversario del 25 Aprile giorno della liberazione dell’Italia dal Nazifascismo ha fatto emergere l’importanza del conoscere e anche del saper tramandare la storia che ci ha preceduto perché in questo modo diverrebbe chiaro che la conquista della libertà è un valore che non si può dare per scontato, soprattutto perché la libertà non è un’espressione astratta, una teoria, ma è un’esperienza; perciò, se non si riattualizza in ogni occasione, si perde.
Ciò che si tenta di fare oggi in Italia alla democrazia, cambiando la Costituzione, con le prossime elezioni può capitare anche col progetto europeo, perché non è stato sufficientemente né raccontato né condiviso come prospettiva non solo possibile, ma necessaria per lo sviluppo della forma democratica dei governi.
I Padri fondatori del progetto europeo come anche quelli che hanno scritto la Costituzione per uno Stato Unitario democratico avevano chiaro che non bastava difendere la democrazia in ogni singola realtà, ma bisognava condividerla, perché la Democrazia, come la Libertà, per mantenerla non puoi difenderla ma solo condividerla. Perché se la difendi la trasformi in dittatura. Vedi l’Ungheria: la Democrazia illiberale.
Ogni volta che i cittadini devono scegliere e votare dovrebbero riflettere su quale futuro, quale realtà vogliono lasciare alle prossime generazioni come patrimonio. Riflettere che astenersi dal voto significa rinunciare alla propria libertà. La nostra è stata una generazione privilegiata, che ha vissuto nella pace come eredità e che ha avuto dalla generazione precedente gli strumenti per potersi costruire la propria società nel rispetto dei diritti umani che man mano riconosceva fondamentali. Noi invece non lasciamo alle prossime generazioni strumenti di costruzione, lasciamo dei condizionamenti, e tanto forti che o ci si occupa di quelli o il mondo finisce. E dell’Unione Europea cosa stiamo lasciando se non un pastrocchio di vincoli e di veti incrociati senza una prospettiva comune?
In Italia i partiti dovrebbero rifondare la politica come bene comune riconoscendo che ogni espressione di partito è portatrice di un aspetto parziale, ma legittimo della complessità della società che si vuole costruire. Consapevoli che in una realtà complessa la società non può avanzare in una sola direzione, ma ha bisogno di un governo e di una classe dirigente che sappia armonizzare le esigenze e le posizioni differenti, altrimenti cosa rimane del ruolo della politica? Il metodo che si sta usando ora, la contrapposizione tra partiti, è ottocentesco, è superato, è primitivo ed è inaccettabile perché è sopraffazione reciproca e non ricerca del bene comune, non è utile ad affrontare le difficoltà del terzo millennio come i risultati dimostrano. La guerra è la sconfitta della politica, la politica è stata inventata proprio per non fare la guerra: l’obiettivo della politica deve essere l’esercizio del bene comune, non contendersi il potere con gli altri. Sarebbe ora che la classe dirigente capisse che l’unica soluzione per entrare nel terzo millennio non è badare al proprio interesse o assicurarsi le quote di voto necessarie a dirigere, ma porsi come servizio attivo e consapevole alla comunità.
Dovremmo insegnare alle nuove generazioni a riconoscere le qualità della situazione in cui sono nate facendo conoscere bene il processo con cui sono state conquistate, perché anche se per loro sicuramente non sono sufficienti, sono il massimo che le generazioni precedenti sono riuscite a fare. E se non vengono valorizzate e usate come base per gli avanzamenti successivi vengono scartate costringendo a ricominciare interi processi storici. Come per esempio adesso il rischio per il processo di costruzione dell’Unione Europea, da tempo già incagliato, è che si dissolva e per L’Italia il rischio è che si distrugga la Costituzione prima ancora di realizzarla. La nostra Costituzione, prima di giudicarla insufficiente e pensare di cambiarla, bisogna realizzarla.
Per il progetto europeo vale il processo inverso: per poterlo realizzare bisogna prima modificare le regole.
Con le prossime elezioni europee, è in gioco la democrazia come forma di governo per realizzare un mondo più giusto in un cammino di convivenza pacifica tra le popolazioni. In Italia, con le proposte di riforme costituzionali, si rischia da una parte di indebolire la democrazia con la concentrazione dei poteri in un’unica figura e dall’altra tornando alle regioni si romperebbe il disegno dello Stato unitario cancellando centocinquant’anni della storia che ha permesso al Paese, come Stato, di partecipare alla pari con gli altri Stati al governo del mondo.
Quindi ogni cittadino europeo e italiano ha la responsabilità di esercitare con il proprio voto la libertà di scegliere quale futuro desidera costruire e lasciare in eredità alle prossime generazioni. Perciò è necessario non solo essere lungimiranti, ma saper riconoscere quale sia il valore che ciascuno vuole vivere e condividere affinché l’umanità abbia un futuro desiderabile.
Si direbbe che siamo arrivati a una specie di competizione tra potenti a chi è più stupido: tra chi è più veloce a distruggere le persone e il pianeta attraverso il consumo spropositato delle risorse e chi tenta di distruggerlo più in fretta usando le bombe.
Con questo proliferare di guerre – Ucraina, Yemen, Sud Sudan, Gaza, Nagorno Karabakh – emerge con chiarezza quanto fosse lungimirante il progetto dei fondatori della Comunità Europea – Schuman, De Gasperi e Adenauer – che avevano ben compreso, nel constatare i disastri della Seconda guerra mondiale – che sono i confini e le ingiustizie che creano le guerre e che se si voleva evolvere come civiltà bisognava superare la logica del conflitto creando uno spazio senza confini e più equo per tutti gli esseri coinvolti.
Per questo si era arrivati a pensare ad una Comunità Europea, indicando già nella scelta del termine “Comunità” la qualità del progetto che si voleva costruire. Già i fondatori erano consapevoli che questa realtà avrebbe richiesto molto tempo e “piccoli passi di solidarietà” come diceva Schuman e la sua condivisa chiarezza di pensiero era determinata dal baratro mortale nel quale si era appena rischiato di precipitare. Passato il pericolo imminente, dopo dieci anni, questa chiarezza di pensiero è stata sostituita da una visione più limitata perché avevano preso forza e spazio le visioni tradizionali, egoistiche e avare, che vedono l’altro se non come nemico sicuramente come avversario. Si inizia così a costruire il progetto della Comunità Economica Europea, che riduce il progetto comunitario a una messa in comune di alcuni prodotti, senza considerare il fatto che questo ridimensionamento sottintende un concetto di umanità molto meschino e sostituisce il valore della persona con il mercato come valore. Quindi, per l’essere umano tutto ha un prezzo? Comprese la dignità e la libertà di ciascun individuo?
La Storia ci rivela che ogni nuova generazione, nella fretta di emanciparsi realizzando i propri progetti, non riconosca la complessità da cui la propria realtà emerge e che di conseguenza non si considera come valore conquistato dai padri la realtà in cui si nasce e, opera. Perché oggi noi europei, eredi del progetto e anche beneficiari di oltre settant’anni di pace, per quale motivo non ci interroghiamo sulla qualità del progetto originario? Continuiamo a mantenere questa visione ridimensionata di una prossimità tollerata tra Stati e non ci diamo il coraggio di credere in una evoluzione della civiltà umana che sia capace di riconoscere nelle persone l’unica via accessibile per la costruzione di un futuro in cui la dignità e la libertà di ciascuno siano la condizione di tutti. Una Storia dove la democrazia possa finalmente compiersi.
Il recente anniversario del 25 Aprile giorno della liberazione dell’Italia dal Nazifascismo ha fatto emergere l’importanza del conoscere e anche del saper tramandare la storia che ci ha preceduto perché in questo modo diverrebbe chiaro che la conquista della libertà è un valore che non si può dare per scontato, soprattutto perché la libertà non è un’espressione astratta, una teoria, ma è un’esperienza; perciò, se non si riattualizza in ogni occasione, si perde.
Ciò che si tenta di fare oggi in Italia alla democrazia, cambiando la Costituzione, con le prossime elezioni può capitare anche col progetto europeo, perché non è stato sufficientemente né raccontato né condiviso come prospettiva non solo possibile, ma necessaria per lo sviluppo della forma democratica dei governi.
I Padri fondatori del progetto europeo come anche quelli che hanno scritto la Costituzione per uno Stato Unitario democratico avevano chiaro che non bastava difendere la democrazia in ogni singola realtà, ma bisognava condividerla, perché la Democrazia, come la Libertà, per mantenerla non puoi difenderla ma solo condividerla. Perché se la difendi la trasformi in dittatura. Vedi l’Ungheria: la Democrazia illiberale.
Ogni volta che i cittadini devono scegliere e votare dovrebbero riflettere su quale futuro, quale realtà vogliono lasciare alle prossime generazioni come patrimonio. Riflettere che astenersi dal voto significa rinunciare alla propria libertà. La nostra è stata una generazione privilegiata, che ha vissuto nella pace come eredità e che ha avuto dalla generazione precedente gli strumenti per potersi costruire la propria società nel rispetto dei diritti umani che man mano riconosceva fondamentali. Noi invece non lasciamo alle prossime generazioni strumenti di costruzione, lasciamo dei condizionamenti, e tanto forti che o ci si occupa di quelli o il mondo finisce. E dell’Unione Europea cosa stiamo lasciando se non un pastrocchio di vincoli e di veti incrociati senza una prospettiva comune?
In Italia i partiti dovrebbero rifondare la politica come bene comune riconoscendo che ogni espressione di partito è portatrice di un aspetto parziale, ma legittimo della complessità della società che si vuole costruire. Consapevoli che in una realtà complessa la società non può avanzare in una sola direzione, ma ha bisogno di un governo e di una classe dirigente che sappia armonizzare le esigenze e le posizioni differenti, altrimenti cosa rimane del ruolo della politica? Il metodo che si sta usando ora, la contrapposizione tra partiti, è ottocentesco, è superato, è primitivo ed è inaccettabile perché è sopraffazione reciproca e non ricerca del bene comune, non è utile ad affrontare le difficoltà del terzo millennio come i risultati dimostrano. La guerra è la sconfitta della politica, la politica è stata inventata proprio per non fare la guerra: l’obiettivo della politica deve essere l’esercizio del bene comune, non contendersi il potere con gli altri. Sarebbe ora che la classe dirigente capisse che l’unica soluzione per entrare nel terzo millennio non è badare al proprio interesse o assicurarsi le quote di voto necessarie a dirigere, ma porsi come servizio attivo e consapevole alla comunità.
Dovremmo insegnare alle nuove generazioni a riconoscere le qualità della situazione in cui sono nate facendo conoscere bene il processo con cui sono state conquistate, perché anche se per loro sicuramente non sono sufficienti, sono il massimo che le generazioni precedenti sono riuscite a fare. E se non vengono valorizzate e usate come base per gli avanzamenti successivi vengono scartate costringendo a ricominciare interi processi storici. Come per esempio adesso il rischio per il processo di costruzione dell’Unione Europea, da tempo già incagliato, è che si dissolva e per L’Italia il rischio è che si distrugga la Costituzione prima ancora di realizzarla. La nostra Costituzione, prima di giudicarla insufficiente e pensare di cambiarla, bisogna realizzarla.
Per il progetto europeo vale il processo inverso: per poterlo realizzare bisogna prima modificare le regole.
Con le prossime elezioni europee, è in gioco la democrazia come forma di governo per realizzare un mondo più giusto in un cammino di convivenza pacifica tra le popolazioni. In Italia, con le proposte di riforme costituzionali, si rischia da una parte di indebolire la democrazia con la concentrazione dei poteri in un’unica figura e dall’altra tornando alle regioni si romperebbe il disegno dello Stato unitario cancellando centocinquant’anni della storia che ha permesso al Paese, come Stato, di partecipare alla pari con gli altri Stati al governo del mondo.
Quindi ogni cittadino europeo e italiano ha la responsabilità di esercitare con il proprio voto la libertà di scegliere quale futuro desidera costruire e lasciare in eredità alle prossime generazioni. Perciò è necessario non solo essere lungimiranti, ma saper riconoscere quale sia il valore che ciascuno vuole vivere e condividere affinché l’umanità abbia un futuro desiderabile.