Donna, libertà, democrazia
Grazia Baroni
propone una riflessione sullo stretto nesso che da sempre unisce il rapporto con la natura e il rapporto con il mondo femminile e fa una disamina di alcuni miti nati sul ruolo della donna nella società.
Oggi si può dire che il mondo stia vivendo due crisi: quella ambientale e quella della condizione della donna. Entrambe queste crisi hanno bisogno di un approccio culturalmente diverso per iniziare un reale processo di risoluzione.
La crisi climatica dovuta allo sfruttamento prepotente delle risorse naturali che si evidenzia nel riscaldamento globale si reitera, infatti, nell’aumento costante dei femminicidi e negli atti violenti verso la donna fino alla tragica evidenza nel dramma di quella madre che, ignorata da chi avrebbe dovuto aiutarla, ha soffocato per spossatezza il suo neonato nel sonno.
Anche se apparentemente distanti c’è una corrispondenza tra queste due realtà.
Nel processo di umanizzazione della nostra specie c’è sempre stato uno stretto rapporto tra il modo di considerare e conoscere il mondo naturale e come si considera e conosce il mondo femminile.
L’umanità, poiché non conosce a sufficienza il proprio ambiente, sta distruggendo la natura e, sempre per ignoranza, maltratta la donna. Ciò è evidente nei paesi democratici nei quali il dato viene reso pubblico; nei paesi non democratici l’argomento neppure viene rilevato.
Questo è il quadro storico e ci pone la domanda: perché la donna è sempre stata tenuta sotto controllo dalle società? Perché fanno così paura le donne? Nelle prime tracce di storia umana era il genere femminile ad essere punto di riferimento. Le prime società erano matriarcali, le prime raffigurazioni di divinità erano femminili. Allora c’è da chiedersi come sia avvenuto questo processo di subordinazione del genere femminile a quello maschile.
L’essere portatrice del mistero della vita, dà alla donna una qualità sacrale, anche perché la sua natura la mette concretamente in contatto con l’elemento che dagli albori dell’umanità ha sempre comportato l’unione tra sacro e materia fisica: il sangue, simbolo di vita e di morte. Questo la mette in condizione di essere soggetta ad un’attenzione particolare, e poi all’essere controllata: da una parte, come un tesoro da tenere al sicuro, e dall’altra come mistero inconoscibile che, in quanto tale, fa paura. La donna stessa si è identificata in questa condizione di mistero legata alla maternità e successivamente al parto. Anzi, poiché il sacro è inconoscibile, la donna non ha descritto questo momento cruciale della sua vita. Il mistero della gravidanza non è stato indagato profondamente neanche da lei.
In passato la specializzazione dei ruoli maschili e femminili è stata elaborata per la conservazione della vita e per garantire la trasmissione delle conquiste acquisite dal susseguirsi delle generazioni, frutto anche di morti e di fatiche da non sprecare. La definizione di questi ruoli, che sono più legati alle contingenze ambientali che non al genere, femminile o maschile, ha però creato anche molti miti difficili da sfatare come quello che per essere una donna completa devi essere madre e, in quanto madre, devi amare il figlio, il mito della coppia come riunione di due metà o quello dell’istinto materno, per fare qualche esempio…
Questa condizione di salvaguardia ha generato anche il mito del “sesso debole”; però la donna ha fisiologicamente un corpo di minore massa, ma la sua forza è in proporzione alla struttura, esattamente come quella del maschio, e le fragilità appartengono ad entrambi i generi.
Il comune concetto che la coppia sia costituita da due metà che si ritrovano per ricomporre un intero, come anche quello che si scelga l’altro per somiglianza, sono miti ormai estranei all’esperienza ed alla consapevolezza degli uomini e delle donne contemporanei. Nel tempo, questa narrazione non è mutata e questo nella coppia porta malessere, delusione, insoddisfazione, fino alla violenza.
Infatti, nel momento in cui uno dei due decide di sottrarsi dal rapporto di coppia, l’altro si sente privato di parte di se stesso, si sente “ucciso”. La reazione è spesso altrettanto violenta quanto l’atto subito. Inoltre, poiché in realtà la coppia si forma nell’incontro tra due esseri completi e diversi, il fatto di immaginarsi come uguali, come componenti di una sola identità, implica o l’imposizione dell’uno sull’altro o, nel migliore dei casi, una reciproca sopportazione.
Sono in pochi ad aver razionalizzato il fatto che la relazione si basa sul futuro che si vuole costruire insieme: due interi, due universi, due esseri liberi che devono imparare a compenetrarsi comunicandosi per creare una terza realtà che comprende le due originarie e le supera. Due unicità che si riconoscono nel desiderio di conquistare il proprio futuro, un futuro felice per entrambi. Per concretizzare tale futuro questo va pensato, comunicato, costruito. Insieme, se si vuole, perché ciascuno ha una propria idea di felicità.
Per capire come siamo fatti bisogna investire in tempo e pensiero ancora di più quando si vuole capire gli altri e formare una coppia.
Il fatto di sapere istintivamente chi siamo, cosa vogliamo e come siano gli altri è un altro mito.
La coscienza della realtà personale produce una società a sé corrispondente: se c’è la consapevolezza di chi siamo e di cosa sia la libertà, si può costruire un rapporto di coppia duraturo nel tempo e una società democratica; mentre se una personalità prevale sull’altra, non solo il rapporto di coppia va in crisi, ma va in crisi anche la democrazia. Perché la coscienza della personale libertà ha bisogno di tempo e di spazio per consolidarsi e per diventare patrimonio comune.
Un altro mito ancora molto presente è quello che l’istinto materno sia implicito nell’essere madre, che la donna sappia istintivamente come affrontare la sua nuova condizione.
Anche se gli esseri umani si sono riconosciuti e definiti osservando gli animali e distinguendosi da loro, su questa distinzione non c’è chiarezza culturale: permangono dei miti rispetto alla continuità e contiguità naturale. Miti come quello che la donna riconosca il proprio neonato come molte specie animali riconoscono i propri cuccioli: per istinto, con l’olfatto o con l’udito. Se così fosse, come si spiegano gli scambi di culla in ospedale e la necessità di utilizzare i braccialetti di riconoscimento? E perché, mentre i cuccioli di mammifero sanno per istinto cosa fare dopo la nascita, una madre invece deve insegnare al figlio come attaccarsi al seno?
Si incomincia solo adesso a considerare che la specie Homo, pur facendo parte del processo evolutivo, abbia specificità originali rispetto alle altre specie. Idea suffragata oggi anche dalla ricerca farmaceutica che rileva come spesso la complessità dell’essere umano dia risultati differenti rispetto alle sperimentazioni effettuate sugli animali.
Poi ancora, quando una donna partorisce se non si riconosce conforme ai miti prova un senso di inadeguatezza, vergogna e solitudine che portano sempre più spesso alla depressione. Forse il più destabilizzante tra i miti da sfatare legati all’esperienza della maternità è quello che se sei madre devi amare il figlio, mentre l’amore è sempre libero, una scelta consapevole, mai un vincolo.
Fino agli anni Settanta il corpo gravido era stato considerato da nascondere, un elemento tra l’intimo e l’antiestetico, nelle classi sociali alte, e un momento faticoso da sopportare, ma assolutamente quotidiano, che non richiede attenzioni particolari, in quelle popolari; anche per questo il tasso di mortalità per parto era altissimo. Era comunque un “affare di donne”, la sua condivisione non era contemplata, la donna si doveva arrangiare da sola, nel caso fortunato di una famiglia accudente, erano comunque solo le donne ad occuparsi della puerpera.
Nella seconda metà del Novecento, il corpo gravido ha cominciato ad essere considerato una delle meraviglie del corpo umano, anche grazie a una maggiore conoscenza e ai movimenti femministi che l’hanno diffusa: le donne hanno cominciato a descrivere la gravidanza, a dare parola a questo saper accogliere, al superare le paure, i disagi, le novità che quest’evento di un corpo che si forma dentro di sé, comporta. Si è cominciato, ma sono ancora poche le donne disposte ad ammettere il fastidio, il disagio che comportano i cambiamenti fisici e l’obbligo di modificare le proprie abitudini, anche negli aspetti più quotidiani.
Non si è ancora data parola al fatto che maternità e paternità sono prerogative di tutti, non sono legate né alla carne né al sangue, è una scelta che viene attuata nei confronti dell’intera umanità.
La maternità è l’esperienza che permette di dare parola all’idea di creare un nuovo mondo, alla scelta di due persone che decidono di unire le proprie singolarità per crearne una terza, e a tutti i cambiamenti che questa scelta comporta. L’esperienza dell’essere madre è il riconoscere e valorizzare la singolarità di ciascuno e il prendersene cura, il creare le condizioni perché ciascuno non entri in conflitto con gli altri, ma impari a comunicare nel modo migliore possibile. Se questo manca, va in crisi non solo la famiglia, ma l’intera società.
La paternità è il dare a ciascuno la possibilità di esprimere la propria potenzialità creativa, sempre curando la relazione del “figlio” con la comunità, dando strumenti, spazio e tempo. Per questo nella storia gli uomini hanno creato il linguaggio in tutte le sue forme.
Così si sono strutturate ed evolute le società: la democrazia è la più moderna innovazione sociale, ideata proprio per consentire questo modo di vivere insieme, in una prospettiva di lungo termine.
Quindi, il rapporto di coppia è un incontro di libertà, la lettura mitica del matrimonio, invece, parla di vincolo, di limitazione della libertà. La civiltà si è evoluta, non possiamo continuare con i modelli che sono nati per essere funzionali solo alla sopravvivenza, dobbiamo superarli con il grado di consapevolezza che abbiamo raggiunto.
Siccome l’esperienza della maternità è femminile, è la donna quella che deve assumersi la responsabilità di dare parole a questa realtà, per poterla condividere creando il linguaggio che manca per definire la capacità di accogliere la novità dell’altro, riconoscere ciascuno fornendogli attenzione, creando le condizioni per una relazione che sia di reciproco rispetto. Dare così quella consapevolezza che serve all’intera società oggi: quella che gli esseri umani sono tali perché sono unici, liberi e creativi. Questo è il pensiero, la cultura, necessari oggi per affrontare il futuro.
La crisi climatica dovuta allo sfruttamento prepotente delle risorse naturali che si evidenzia nel riscaldamento globale si reitera, infatti, nell’aumento costante dei femminicidi e negli atti violenti verso la donna fino alla tragica evidenza nel dramma di quella madre che, ignorata da chi avrebbe dovuto aiutarla, ha soffocato per spossatezza il suo neonato nel sonno.
Anche se apparentemente distanti c’è una corrispondenza tra queste due realtà.
Nel processo di umanizzazione della nostra specie c’è sempre stato uno stretto rapporto tra il modo di considerare e conoscere il mondo naturale e come si considera e conosce il mondo femminile.
L’umanità, poiché non conosce a sufficienza il proprio ambiente, sta distruggendo la natura e, sempre per ignoranza, maltratta la donna. Ciò è evidente nei paesi democratici nei quali il dato viene reso pubblico; nei paesi non democratici l’argomento neppure viene rilevato.
Questo è il quadro storico e ci pone la domanda: perché la donna è sempre stata tenuta sotto controllo dalle società? Perché fanno così paura le donne? Nelle prime tracce di storia umana era il genere femminile ad essere punto di riferimento. Le prime società erano matriarcali, le prime raffigurazioni di divinità erano femminili. Allora c’è da chiedersi come sia avvenuto questo processo di subordinazione del genere femminile a quello maschile.
L’essere portatrice del mistero della vita, dà alla donna una qualità sacrale, anche perché la sua natura la mette concretamente in contatto con l’elemento che dagli albori dell’umanità ha sempre comportato l’unione tra sacro e materia fisica: il sangue, simbolo di vita e di morte. Questo la mette in condizione di essere soggetta ad un’attenzione particolare, e poi all’essere controllata: da una parte, come un tesoro da tenere al sicuro, e dall’altra come mistero inconoscibile che, in quanto tale, fa paura. La donna stessa si è identificata in questa condizione di mistero legata alla maternità e successivamente al parto. Anzi, poiché il sacro è inconoscibile, la donna non ha descritto questo momento cruciale della sua vita. Il mistero della gravidanza non è stato indagato profondamente neanche da lei.
In passato la specializzazione dei ruoli maschili e femminili è stata elaborata per la conservazione della vita e per garantire la trasmissione delle conquiste acquisite dal susseguirsi delle generazioni, frutto anche di morti e di fatiche da non sprecare. La definizione di questi ruoli, che sono più legati alle contingenze ambientali che non al genere, femminile o maschile, ha però creato anche molti miti difficili da sfatare come quello che per essere una donna completa devi essere madre e, in quanto madre, devi amare il figlio, il mito della coppia come riunione di due metà o quello dell’istinto materno, per fare qualche esempio…
Questa condizione di salvaguardia ha generato anche il mito del “sesso debole”; però la donna ha fisiologicamente un corpo di minore massa, ma la sua forza è in proporzione alla struttura, esattamente come quella del maschio, e le fragilità appartengono ad entrambi i generi.
Il comune concetto che la coppia sia costituita da due metà che si ritrovano per ricomporre un intero, come anche quello che si scelga l’altro per somiglianza, sono miti ormai estranei all’esperienza ed alla consapevolezza degli uomini e delle donne contemporanei. Nel tempo, questa narrazione non è mutata e questo nella coppia porta malessere, delusione, insoddisfazione, fino alla violenza.
Infatti, nel momento in cui uno dei due decide di sottrarsi dal rapporto di coppia, l’altro si sente privato di parte di se stesso, si sente “ucciso”. La reazione è spesso altrettanto violenta quanto l’atto subito. Inoltre, poiché in realtà la coppia si forma nell’incontro tra due esseri completi e diversi, il fatto di immaginarsi come uguali, come componenti di una sola identità, implica o l’imposizione dell’uno sull’altro o, nel migliore dei casi, una reciproca sopportazione.
Sono in pochi ad aver razionalizzato il fatto che la relazione si basa sul futuro che si vuole costruire insieme: due interi, due universi, due esseri liberi che devono imparare a compenetrarsi comunicandosi per creare una terza realtà che comprende le due originarie e le supera. Due unicità che si riconoscono nel desiderio di conquistare il proprio futuro, un futuro felice per entrambi. Per concretizzare tale futuro questo va pensato, comunicato, costruito. Insieme, se si vuole, perché ciascuno ha una propria idea di felicità.
Per capire come siamo fatti bisogna investire in tempo e pensiero ancora di più quando si vuole capire gli altri e formare una coppia.
Il fatto di sapere istintivamente chi siamo, cosa vogliamo e come siano gli altri è un altro mito.
La coscienza della realtà personale produce una società a sé corrispondente: se c’è la consapevolezza di chi siamo e di cosa sia la libertà, si può costruire un rapporto di coppia duraturo nel tempo e una società democratica; mentre se una personalità prevale sull’altra, non solo il rapporto di coppia va in crisi, ma va in crisi anche la democrazia. Perché la coscienza della personale libertà ha bisogno di tempo e di spazio per consolidarsi e per diventare patrimonio comune.
Un altro mito ancora molto presente è quello che l’istinto materno sia implicito nell’essere madre, che la donna sappia istintivamente come affrontare la sua nuova condizione.
Anche se gli esseri umani si sono riconosciuti e definiti osservando gli animali e distinguendosi da loro, su questa distinzione non c’è chiarezza culturale: permangono dei miti rispetto alla continuità e contiguità naturale. Miti come quello che la donna riconosca il proprio neonato come molte specie animali riconoscono i propri cuccioli: per istinto, con l’olfatto o con l’udito. Se così fosse, come si spiegano gli scambi di culla in ospedale e la necessità di utilizzare i braccialetti di riconoscimento? E perché, mentre i cuccioli di mammifero sanno per istinto cosa fare dopo la nascita, una madre invece deve insegnare al figlio come attaccarsi al seno?
Si incomincia solo adesso a considerare che la specie Homo, pur facendo parte del processo evolutivo, abbia specificità originali rispetto alle altre specie. Idea suffragata oggi anche dalla ricerca farmaceutica che rileva come spesso la complessità dell’essere umano dia risultati differenti rispetto alle sperimentazioni effettuate sugli animali.
Poi ancora, quando una donna partorisce se non si riconosce conforme ai miti prova un senso di inadeguatezza, vergogna e solitudine che portano sempre più spesso alla depressione. Forse il più destabilizzante tra i miti da sfatare legati all’esperienza della maternità è quello che se sei madre devi amare il figlio, mentre l’amore è sempre libero, una scelta consapevole, mai un vincolo.
Fino agli anni Settanta il corpo gravido era stato considerato da nascondere, un elemento tra l’intimo e l’antiestetico, nelle classi sociali alte, e un momento faticoso da sopportare, ma assolutamente quotidiano, che non richiede attenzioni particolari, in quelle popolari; anche per questo il tasso di mortalità per parto era altissimo. Era comunque un “affare di donne”, la sua condivisione non era contemplata, la donna si doveva arrangiare da sola, nel caso fortunato di una famiglia accudente, erano comunque solo le donne ad occuparsi della puerpera.
Nella seconda metà del Novecento, il corpo gravido ha cominciato ad essere considerato una delle meraviglie del corpo umano, anche grazie a una maggiore conoscenza e ai movimenti femministi che l’hanno diffusa: le donne hanno cominciato a descrivere la gravidanza, a dare parola a questo saper accogliere, al superare le paure, i disagi, le novità che quest’evento di un corpo che si forma dentro di sé, comporta. Si è cominciato, ma sono ancora poche le donne disposte ad ammettere il fastidio, il disagio che comportano i cambiamenti fisici e l’obbligo di modificare le proprie abitudini, anche negli aspetti più quotidiani.
Non si è ancora data parola al fatto che maternità e paternità sono prerogative di tutti, non sono legate né alla carne né al sangue, è una scelta che viene attuata nei confronti dell’intera umanità.
La maternità è l’esperienza che permette di dare parola all’idea di creare un nuovo mondo, alla scelta di due persone che decidono di unire le proprie singolarità per crearne una terza, e a tutti i cambiamenti che questa scelta comporta. L’esperienza dell’essere madre è il riconoscere e valorizzare la singolarità di ciascuno e il prendersene cura, il creare le condizioni perché ciascuno non entri in conflitto con gli altri, ma impari a comunicare nel modo migliore possibile. Se questo manca, va in crisi non solo la famiglia, ma l’intera società.
La paternità è il dare a ciascuno la possibilità di esprimere la propria potenzialità creativa, sempre curando la relazione del “figlio” con la comunità, dando strumenti, spazio e tempo. Per questo nella storia gli uomini hanno creato il linguaggio in tutte le sue forme.
Così si sono strutturate ed evolute le società: la democrazia è la più moderna innovazione sociale, ideata proprio per consentire questo modo di vivere insieme, in una prospettiva di lungo termine.
Quindi, il rapporto di coppia è un incontro di libertà, la lettura mitica del matrimonio, invece, parla di vincolo, di limitazione della libertà. La civiltà si è evoluta, non possiamo continuare con i modelli che sono nati per essere funzionali solo alla sopravvivenza, dobbiamo superarli con il grado di consapevolezza che abbiamo raggiunto.
Siccome l’esperienza della maternità è femminile, è la donna quella che deve assumersi la responsabilità di dare parole a questa realtà, per poterla condividere creando il linguaggio che manca per definire la capacità di accogliere la novità dell’altro, riconoscere ciascuno fornendogli attenzione, creando le condizioni per una relazione che sia di reciproco rispetto. Dare così quella consapevolezza che serve all’intera società oggi: quella che gli esseri umani sono tali perché sono unici, liberi e creativi. Questo è il pensiero, la cultura, necessari oggi per affrontare il futuro.
Articolo che offre molti spunti
Sono in accordo sull essere donna e sul cammino uomo donna ,meno sull accostare la crisi a quella climatica frutto di una grandissima manipolazione atta a derubare la comunità e riportarla a vivere nel proprio piccolo recinto ,cosa che di per sé potrebbe anche essere positiva,ma non in questo modo, ritornare a prospettive feudali con l ausilio della digitalizzazione e del processo tecnologico insieme alla distruzione del concetto famiglia per poter dominare il gregge è la rotta su cui stiamo allegramente muovendo.
Il clima è legato per il 95% a fattori naturali ,ora anche a esperimenti di modifica delle condizioni locali tramite sistemi onde elettromagnetiche ad altissime frequenze che causano disastri assolutamente non naturali.
Il fatto di voler monetizzare la carbon tax la dice tutta sui soliti noti.
Per il resto bellissima riflessione.
Ciao
Mario
Articolo che offre molti spunti
Sono in accordo sull essere donna e sul cammino uomo donna ,meno sull accostare la crisi a quella climatica frutto di una grandissima manipolazione atta a derubare la comunità e riportarla a vivere nel proprio piccolo recinto ,cosa che di per sé potrebbe anche essere positiva,ma non in questo modo, ritornare a prospettive feudali con l ausilio della digitalizzazione e del processo tecnologico insieme alla distruzione del concetto famiglia per poter dominare il gregge è la rotta su cui stiamo allegramente muovendo.
Il clima è legato per il 95% a fattori naturali ,ora anche a esperimenti di modifica delle condizioni locali tramite sistemi onde elettromagnetiche ad altissime frequenze che causano disastri assolutamente non naturali.
Il fatto di voler monetizzare la carbon tax la dice tutta sui soliti noti.
Per il resto bellissima riflessione.
Ciao
Mario