La pandemia e i drammi nella RSA hanno dimostrato che sostenere l’invecchiamento e la permanenza a casa degli anziani, anche non autosufficienti, deve essere un obiettivo centrale delle politiche sociali e dei sistemi di longterm-care (LTC) occidentali. In Italia il supporto all’invecchiamento in casa si è imperniato a lungo sul SAD, servizio di assistenza domiciliare, e sull’ADI, assistenza domiciliare integrata, i due poli tradizionali dell’assistenza domiciliare pubblica; da quando sono nati e si sono consolidati, però, una complessa serie di dinamiche ha profondamente mutato il contesto dell’azione.
L’assistenza domiciliare classica, poco adeguata a esigenze di cura continuativa, è sempre più residuale (nel caso del SAD), o troppo poco intensa (nel caso dell’ADI); da anni, ormai, questi servizi hanno un ruolo sostanzialmente marginale nel mantenere a domicilio anziani fragili non autosufficienti o dementi. Quando poi l’anziano si aggrava troppo per accudirlo a casa, si ricorre alla RSA. Tra questi due estremi (servizi domiciliari e residenzialità) – per DemoS-Democrazia Solidale – restano ampi spazi di vuoto e molti bisogni scoperti, che le famiglie spesso cercano di soddisfare da sole. Per rivolgersi anche alle molte situazioni che non trovano risposta nell’esistente, la rete deve aprirsi a strategie diverse, che vadano oltre la mera badantizzazione dell’assistenza.
“Quanto successo nelle case di riposo e nelle RSA ci dice che bisogna ampliare e articolare maggiormente i sostegni per i non autosufficienti. Grazie all’azione e all’impulso combinato di vari attori, il ventaglio di aiuti disponibili deve arricchirsi sia di misure per implementare i servizi tradizionali, sia di sperimentazioni e innovazioni che esplorino strade differenti. Ci vuole una nuova cultura della domiciliarità e della cura, basata sulla volontà di rispondere ai bisogni in un’ottica comunitaria e di progettare gli interventi in modo partecipato” sottolinea la coordinatrice regionale Elena Apollonio.
Le vie emergenti per rafforzare e innovare il panorama dei sostegni alla domiciliarità sono sostanzialmente riconducibili a quattro aree, differenti per ambito e portata d’azione.
Integrazione e potenziamento dei servizi domiciliari formali
Quest’obiettivo deve prevedere l’erogazione di voucher o contributi economici finalizzati al mantenimento a domicilio, generalmente graduato secondo il livello di necessità assistenziale dell’anziano. Rientra in questo ambito anche la cosiddetta RSA aperta, la misura innovativa che offre la possibilità di usufruire di servizi sanitari e sociosanitari utili a sostenere la permanenza al domicilio della persona il più a lungo possibile, con l’obiettivo di rinviare nel tempo la necessità di un ricovero in una struttura residenziale.
Riprogettazione del servizio di assistenza domiciliare
Alcune esperienze in atto indicano che alla tradizionale assistenza domiciliare comunale è possibile imprimere direzioni diverse per rispondere ai bisogni. Per gli enti pubblici una delle ipotesi percorribili è quella di fornire risposte non solo alle necessità assistenziali di persone a basso reddito, bensì d’intercettare anche la domanda di una certa fascia di popolazione. Si tratta di dar vita a un “welfare di tutti”, in grado di raggiungere un’utenza più allargata di quella tradizionale dei servizi includendo anche cittadini in condizioni di partecipare alla spesa. Superata la tradizionale divisione per fasce d’età/problematica (minori, anziani, disabili, ecc.), l’intervento deve partire dal bisogno della persona; l’offerta, ampliata e innovata, prevede interventi aggiuntivi come pasti a domicilio, trasporti, piccola manutenzione, iniettorato, pedicure curativa più altre proposte degli enti, ad esempio consulenze psicologiche e visite specialistiche, ecc.. L’Amministrazione mira specificamente a raggiungere famiglie con capacità economica: esse hanno la garanzia di ottenere servizi privati qualificati, a tariffe predeterminate, da soggetti accreditati dal Comune (cosa che può anche contribuire a contrastare il mercato sommerso della cura).
Sviluppo di forme intermedie di “abitare protetto” e di politiche abitative
Nel dibattito allargato sul sostegno della domiciliarità non può mancare l’attenzione agli anziani in condizioni “di mezzo”, non più in grado di vivere soli in sicurezza ma non ancora bisognosi del livello di protezione delle RSA. Per queste persone in varie zone del Paese è in atto una gamma multiforme (e diversamente denominata) di esperienze di “abitare protetto” e di soluzioni intermedie tra domicilio e RSA (residenzialità leggera, case famiglia, comunità alloggio, soluzioni protesiche a favore di dementi, ecc), talora promosse dai decisori, talora attivate direttamente da soggetti del Terzo Settore. Tra le politiche abitative sono da menzionare portinerie sociali, badanti di condominio e punti-risorsa di caseggiato (che rientrano spesso in progetti di sviluppo sociale in un’ottica comunitaria e di promozione di reti solidali) e il co-housing nelle sue varie forme, anche intergenerazionali.
Politiche innovative e sperimentazioni nell’ambito del welfare di comunità
Le politiche innovative per il sostegno della domiciliarità emergenti negli ultimi anni si rifanno a modelli quali welfare di comunità, welfare collaborativo, welfare generativo e responsabilità sociale e solidale. Nonostante le diverse denominazioni, tutti sottendono un cambio di cultura e sono accomunati dalla volontà di ripensare ai bisogni sociali in modo diverso, offrendo risposte in un’ottica comunitaria e inclusiva, che integra gli attori vecchi e nuovi del territorio. Per la centralità assunta dal problema dell’invecchiamento, l’invecchiamento in casa degli anziani fragili è un obiettivo verso il quale dovrà essere dedicata grande attenzione. Il welfare comunitario si lascia alle spalle l’idea che la non autosufficienza sia un problema specifico delle istituzioni o delle famiglie: la cura, infatti, deve diventare una responsabilità, ma anche un’opportunità, di tutti. In questa nuova prospettiva gli enti locali sono chiamati ad individuare soluzioni di medio/lungo periodo che possano contare sul sostegno della collettività, che siano efficaci ed innovative sul versante sociale e che si basino sulla progettazione partecipata degli interventi. È quindi indispensabile una nuova forma di gestione che, pur non rinunciando a una forte regia istituzionale, sia aperta all’apporto di tutte le parti interessate.